CGIA: i debiti della PA, in vista maximulta Ue da 2 miliardi

Mestre (Ve) – Stando a quanto hanno dichiarato nei gironi scorsi alcuni autorevoli esperti, i sistematici ritardi nei pagamenti compiuti dalla nostra Pubblica Amministrazione (PA) potrebbero far scattare una maximulta come quella ricevuta per le quote latte che, fino ad ora, ci è costata circa 2 miliardi di euro. Tutto questo, comunque, potrà essere evitato se lo Stato italiano metterà fine in tempi rapidissimi a questa cattiva abitudine. Ipotesi, viste le performance realizzate nel 2019, difficilmente attuabile. Se la Direttiva 2011/7/UE impone, nelle transazioni commerciali tra PA e imprese private, termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni (in quest’ultimo caso solo per il settore sanitario), l’anno scorso, ad esempio, il Comune di Napoli ha liquidato i propri fornitori con 395 giorni medi di ritardo; l’Asl Napoli 1 Centro con 169; il Comune di Reggio Calabria con 146, la Regione Basilicata con 83, l’ASL Roma 1 con 72 e il Comune di Roma Capitale con 63. Situazioni, queste ultime, che saranno estremamente difficili da azzerare in tempi ragionevolmente brevi. Una condizione, come segnalavamo più sopra, indispensabile affinché Bruxelles ci risparmi una maximulta. Senza contare che nel settore della sanità e in quello delle costruzioni i ritardi, rispetto ai tempi massimi di attesa previsti dalla legge, vengono superati, secondo le rilevazioni effettuate dalle associazioni imprenditoriali di questi settori, rispettivamente di 39 e di 73 giorni di media. Ritardi che, purtroppo, difficilmente potranno essere riportati celermente al di sotto dei limiti previsti dalla normativa. Nonostante l’obbligo della fatturazione elettronica, lo stock del debito è sconosciuto La cosa più assurda di tutta questa vicenda è che nessuno è in grado di affermare a quanto ammonta esattamente il debito commerciale della nostra PA, nonostante le imprese che lavorano per quest’ultima abbiano da parecchi anni l’obbligo di emettere la fattura elettronica. Secondo le stime della Banca d’Italia sono 53 miliardi Secondo i dati riportati nella “Relazione annuale 2018”, presentata il 31 maggio 2019 dalla Banca d’Italia, l’ammontare complessivo dei debiti commerciali della nostra PA sarebbe pari a circa 53 miliardi di euro, metà dei quali ascrivibili ai ritardi di pagamento. L’utilizzo del condizionale è d’obbligo, visto che il periodico monitoraggio condotto dai ricercatori di via Nazionale si basa su indagini campionarie condotte sulle imprese e dalle segnalazioni di vigilanza da cui emergono dei risultati che, secondo gli stessi estensori delle stime, sono caratterizzati da un elevato grado di incertezza. Recentemente è intervenuta anche la Corte Costituzionale Con la sentenza n° 4 del 28 gennaio scorso, la Corte Costituzionale ha stabilito che le anticipazioni di liquidità ottenute dagli enti locali per onorare le passività pregresse sono prestiti di carattere eccezionale che devono essere utilizzati per la finalità per cui sono stati erogati e non per migliorare i risultati di bilancio. La sentenza, quindi, chiude definitivamente una controversia sollevata dalla Corte dei Conti nei confronti del Comune di Napoli. Nel recente passato, infatti, non sono stati pochi i Sindaci e anche i Governatori che hanno utilizzato i prestiti statali sblocca-debiti erogati dal 2013 per assestare i bilanci di Comuni/Regioni, anziché per liquidare le vecchie fatture dei propri fornitori. Una condotta che la Corte Costituzionale ha finalmente chiarito che non può più essere praticata. Perché la PA paga in ritardo? Le principali cause che hanno dato origine a questa cattiva abitudine tipicamente italiana sono le seguenti: la mancanza di liquidità da parte del committente pubblico; i ritardi intenzionali; l’inefficienza di molte amministrazioni a emettere in tempi ragionevolmente brevi i certificati di pagamento; le contestazioni che allungano la liquidazione delle fatture. A queste ragioni ne vanno aggiunte almeno altre due che, tra le altre cose, hanno indotto la Corte di Giustizia europea a condannarci nelle scorse settimane. Esse sono: la richiesta, spesso avanzata dalla PA nei confronti degli esecutori delle opere, di ritardare l’emissione degli stati di avanzamento dei lavori o l’invio delle fatture; l’istanza rivolta dall’Amministrazione pubblica al fornitore di accettare, durante la stipula del contratto, tempi di pagamento superiori ai limiti previsti per legge senza l’applicazione degli interessi di mora in caso di ritardo.