Istituto Bruno Leoni: i sei principi della flat tax sostenibile

Roma – Chi vincerà le prossime elezioni si troverà a mettere mano al fisco. Non a caso proprio la delega fiscale è stato uno dei temi più delicati affrontati dal governo Draghi, e la revisione delle imposte è uno degli argomenti più discussi in campagna elettorale. Il contesto impone serietà e seriamente devono essere strutturate le proposte di riforma fiscale. Per questo, ci permettiamo di dare sei consigli non richiesti per dare sostanza a una proposta, quella della flat tax, che merita di più che rimanere un mero slogan elettorale. I consigli non richiesti costano nulla a chi li riceve e possono persino risultare utili.

Primo, per gli italiani flat tax è ormai sinonimo di riduzione della pressione fiscale. Visto che una riforma fiscale non si può fare in deficit, tanto meno in un paese che ha un debito pubblico come il nostro, chi la propone non può eludere il tema delle “coperture”. Cioè, per essere chiari, dei tagli strutturali alla spesa pubblica, che sono necessari a rendere possibile la flat tax e che devono essere tanto più profondi quanto più la riforma vuole essere ambiziosa. È un esercizio complicato e non immediato, ma necessario ed urgente.

Secondo, gli italiani non hanno l’anello al naso. Non si spacci per flat tax il trattamento di favore di alcuni redditi (segnatamente dei redditi di alcuni lavoratori autonomi). Anzi, chi la propone tenga bene a mente che una flat tax ben disegnata non tollera trattamenti di favore, esenzioni e bonus di qualunque tipo. Per definizione e per costrutto, la flat tax è una tassa piatta, uguale per tutti, che trova giustificazione proprio nella volontà di non trattare diversamente i redditi delle persone, indipendentemente dalla loro origine.

Terzo, una flat tax seria non è una modifica al margine del sistema tributario e neppure alla sola Irpef. Al contrario, richiede che il sistema stesso venga ripensato per garantire, in presenza di una aliquota unica, il necessario equilibrio fra tutte le sue componenti. Di più, dal momento che una flat tax – diversamente da quel che pensano alcuni – non esclude affatto una concreta progressività ma non la confina al solo lato del prelievo, una flat tax seria richiede che si rifletta attentamente sulla struttura dell’intero bilancio pubblico. Il rapporto fra fisco e assistenza è solo l’esempio più immediato. Chi la propone quindi, si armi, in primo luogo, di una norma di delega ben scritta, ampia ma non vaga, redatta, se possibile, da esperti. La legislatura appena finita ci ha fornito non pochi esempi di norme pensate poco e scritte male e di deleghe troppo generiche per poter essere concretamente esercitate: sarebbe il caso di non ripetere l’esperienza.

Quarto, in una riforma di ampia portata e certamente innovativa come sarebbe una riforma incentrata su una flat tax, la fase transitoria è tanto importante quanto la fase a regime per evitare crisi di rigetto. Essa va accuratamente pianificata in ogni suo aspetto (comunicazione, informazione, transizione) senza inutili accelerazioni.

Quinto, una riforma fiscale ben disegnata – e tanto più una riforma fiscale intesa a rendere più semplice e comprensibile il sistema, come la flat tax – non si ferma al ridisegno di questa o quella imposta. Deve necessariamente riguardare anche il funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e il rapporto fra fisco e contribuente in ogni suo aspetto. Dopo aver deciso di menzionare la “tutela degli ani-mali” forse la nostra Costituzione potrebbe rivolgere la sua attenzione anche ai diritti dei contribuenti (che, per dirla con una espressione propria della normativa europea, sono “esseri senzienti” quanto e forse anche più dei primi). In teoria i diritti dei contribuenti sono protetti da un apposito Statuto: il quale, tuttavia, è la più calpestata delle norme della Repubblica.

Ultimo ma non meno importante: una riforma fiscale che ruoti intorno a una flat tax è possibile e, per molti motivi, sarebbe anche desiderabile. L’Istituto Bruno Leoni ha cercato di darne evidenza cinque anni orsono in 25% per tutti. La maniera migliore per non farla è quella di proporne una versione visibilmente implausibile sotto il profilo degli equilibri di finanza pubblica: la “flat tax al 15%” appartiene a questa categoria e chi realmente pensa che si possa e si debba avere una flat tax in Italia dovrebbe dirlo senza infingimenti. E lo stesso vale per qualunque proposta di riforma che, mirando esplicitamente o implicitamente alla riduzione del carico fiscale, eviti di quantificare il minor gettito e di dire come farvi fronte.

Nelle riforme fiscali si misurano – come in pochissimi altri campi – la volontà e l’abilità comunicativa di una classe politica, la competenza tecnica e la capacità amministrativa di una classe dirigente. Chi propone la flat tax non solo non è esente dal possedere queste caratteristiche ma, facendosi portatore di una riforma di ampio respiro, ha il massimo dovere di dimostrarle.