A 98 anni se n’è andato Carlo Vichi, fondatore della Mivar

A 98 anni se n’è andato Carlo Vichi, fondatore della Mivar

Milano – Alla bella età di 98 anni se n’è andato Carlo Vichi, patron della storica azienda di televisioni Mivar, l’ultima società italiana a produrre televisori nel nostro Paese (lo stabilimento si trova ad Abbiategrasso). Vichi non ha mai nascosto le sue simpatie per Mussolini e il ventennio. Fiero oppositore delle organizzazioni sindacali, ateo e anticlericale, il suo funerale (laico) si svolgerà nello stabilimento sull’alzaia del Naviglio di Bereguardo: il suo desiderio era quello di avere una bella festa, senza la presenza delle autorità, all’interno della sua fabbrica, la sua creatura. Vichi, che ha costruito la sua fortuna a Milano, è nato nel 1923 a Montieri (Grosseto). A Milano è arrivato nel 1930 seguendo il babbo che lavorava come metronotte. Le case popolari e gli studi serali prima, poi il diploma da elettrotecnico e i primi lavori. Nel 1945 fonda la Var (acronimo di Vichi apparecchi radio), azienda che costruisce e ripara radio a valvole. Una ditta che se fosse nata in California avrebbe mosso i suoi primi passi in un garage ma a Milano trova spazio nel popolare quartiere di Calvairate, tra cortili e laboratori artigiani. Negli anni Cinquanta arriva la prima svolta: grazie ai finanziamenti concessi da una ristretta cerchia di amici e parenti Vichi espande e amplia le strutture produttive. Nel 1968 nasce la Mivar (acronimo di Milano Vichi Apparecchi Radiofonici) e la sede viene spostata ad Abbiategrasso. Passano i lustri e la Mivar si adatta: inizia a produrre televisioni. Sono anni d’oro: gli italiani desiderano le tv, Vichi le costruisce e le vende. La ricetta è vincente: prezzi concorrenziali, efficiente rete di assistenza e riduzioni al minimo delle spese. Apparecchi popolari destinati a un pubblico che non vuole spendere troppo. Nel 1988 su 100 televisori venduti 12 sono Mivar. Numeri faraonici quelli di quegli anni in cui le linee produttive sfornavano circa 300mila tv a colori e 60mila in bianco e nero. Numeri imponenti che hanno portato la costruzione del nuovo stabilimento sull’alzaia del Naviglio Grande, una fabbrica progettata e realizzata dallo stesso Vichi. Una scommessa (inizialmente) vincente dato che nel 1999 la Mivar raggiunge l’apice: 950mila apparecchi costruiti e una quota di mercato pari al 35%, davanti a diverse multinazionali dell’elettronica. La crisi per la Mivar inizia all’inizio degli anni Duemila con l’ingresso sul mercato delle televisioni a schermo piatto. La società, però non riesce a ripetere la ricetta degli anni ’90 (capitolazione dei produttori giapponesi e coreani): Mivar non riesce a tenere il passo della concorrenza rappresentata da società turche e cinesi che producono e vendono prodotti tecnologicamente migliori a prezzi stracciati. Nel 2001 si addensano le prime nubi e 400 dipendenti vengono messi in cassa integrazione. Nel 2008 finisce la produzione delle tv a tubo catodico ma la crisi si fa sempre più acuta. Il fatturato cala, i dipendenti anche. Una crisi nera che ha distrutto ogni pezzo dell’azienda. Negli anni Vichi ha detto di aver speso circa 100milioni di fondi propri per ripianare le perdite e consentire alla sua azienda di garantire ai bilanci un formale pareggio. Oggi la Mivar ha perso il suo fondatore.

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