Censis per Assosomm: occupazione femminile ipotesi 70%

Censis per Assosomm: occupazione femminile ipotesi 70%

Milano – In Italia quello della denatalità è “il problema dei problemi” e, come indica il Censis, quello su cui di più l’opinione pubblica tende a sorvolare a comportarsi da “sonnambuli”, un dato per tutti: 1,2 è il numero medio di figli per donna, mentre l’equilibrio demografico dovrebbe essere 2. Questo processo epocale ha ripercussioni anche nel mondo del lavoro. Nel 2022, la difficoltà del mismatch lavorativo ha riguardato il 41% delle assunzioni, un problema che, appena prima della Pandemia, riguardava solo il 24% dei casi. In Italia il tasso di occupazione di donne con figli raggiunge appena il 58,6% (per gli uomini con figli raggiunge quasi il 90%), mentre in Spagna (Paese culturalmente affine al nostro) il tasso raggiunge il 70%. La correlazione tra fertilità e donne che lavorano è curiosa e apparentemente contraddittoria. Sono due le Regioni in cui il tasso di natalità è notevolmente sopra la media: il Trentino-Alto Adige, con un tasso di fertilità dell’1,5 e la Sicilia 1,35; sono invece agli antipodi per quanto riguarda l’occupazione femminile: nel primo caso il tasso di occupazione femminile è al 66,2%, il più alto d’Italia, nel secondo è all’ultimo posto con un tasso del 30,5%. Il tasso di occupazione delle donne in Italia è del 51,1%, 60% al Nord ovest, 62% al Nordest, 57,6% al Centro, mentre precipita al 34,4% al Sud e nelle Isole. La percentuale di donne che hanno una retribuzione inferiore ai 2/3 della media, è del 12,1, (gli uomini 8,5), che al Sud arriva a 18,3. Le donne con un’occupazione part-time sono il 31,8%, mentre tra gli uomini sono l’8,3%. Potrebbe sembrare un dato che va nella direzione favorevole alla maternità, in fondo un lavoro part-time permette di conciliare meglio il lavoro e la famiglia, se fosse però sempre una scelta delle donne. Sta però crescendo nel Paese la consapevolezza che favorire la maternità vuol dire agevolare l’autonomia lavorativa delle donne, che vuol dire poter scegliere e soprattutto poter decidere di tornare al lavoro full-time senza dover rincorrere la posizione lasciata prima della maternità. Una rincorsa che riguarda tutta la carriera al femminile. Le donne, infatti, rappresentano in Italia il 42,2% degli occupati, ma solo il 25,3% dei dirigenti. Cresce quindi l’esigenza, da parte dei lavoratori in generale, di flessibilità degli orari di lavoro, che non necessariamente vuol dire tempi ridotti, ma tempi più “autonomi”, che consentano di lavorare senza rinunciare ad altri aspetti della vita. Le aziende italiane che sentono una crescente difficoltà nel reclutare lavoratori (lo segnalano circa nel 60% delle aziende) si orientano sulla flessibilità come strategia per attrarre lavoratori. Significativo che, in questa strategia, 1/3 delle aziende abbiano puntato sulle retribuzioni, mentre oltre il 50% hanno puntato sulla flessibilità di orari. Anche le donne cercano di orientare la loro ricerca lavorativa sulla base di una flessibilità che permetta loro di prevedere nel medio periodo una maternità. Di conseguenza, le aziende sempre più si accingono a fare questo sforzo culturale: un buon welfare aziendale, comprensivo di politiche di conciliazione vita-lavoro, permetterà di intercettare lavoratori più preparati e quindi di aumentare la propria competitività. “Dalla ricerca Censis per la nostra Associazione – commenta Rosario Rasizza, Presidente Assosomm – emergono dati molto interessanti sul tema della formazione: almeno dal punto di vista occupazionale, il livello di formazione per gli uomini non sembra avere un gran peso (diverso è il discorso retributivo); da notare che per i laureati è solo il 3,25 più alto dei non laureati, mentre tra le donne è dieci volte più alto e arriva al 23,5. In altri termini, il livello di occupazione con un alto livello di istruzione è il 75% tra gli uomini e il 71,3% tra le donne, mentre se consideriamo un livello di istruzione pari al secondario superiore, tra gli uomini lavorano il 77,3%, mentre tra le donne il 56,1%. Su questo fronte, è importante ricordare tutte le risorse che vengono messe in campo gratuitamente per percorrere l’ultimo miglio formativo, quello strettamente finalizzato all’inserimento dei nostri candidati in azienda. Pensiamo che nel solo 2023, le Agenzie per il Lavoro hanno formato 353.936 lavoratori, per un totale di 3.100.140 di ore di formazione, in 75.930 corsi diversi per oltre 300milioni di euro investiti.” “Tra i contratti aziendali prende sempre più piede l’idea di prevedere iniziative di welfare aziendale (anche ai fini di vantaggi fiscali e contributivi) – prosegue Rasizza. Tra i contratti depositati presso il Ministero del Lavoro, il 61% prevede una o più misure di welfare aziendale, ma tra questi solo 1 su 5 prevede misure organiche e coordinate di conciliazione vita lavoro. Vale a dire che solo il 16% dei contratti di secondo livello, si pone il tema di aiutare, in modo specifico, le donne che lavorano. In occasione dell’8 marzo e alla luce dei dati Censis per Assosomm emerge come prioritario attivarsi con aiuti alla genitorialità, che prevedano congedi, asili aziendali, formazione per il rientro delle mamme in azienda. E ancora: flessibilità organizzativa e oraria, servizi di cura, convenzioni, buoni acquisto per servizi di cura. Questo permetterebbe di riportare al lavoro quel 11,4% di donne rispetto alla Spagna, che stimiamo corrisponda a un aumento di produttività delle aziende italiane di 3 miliardi di euro, ma soprattutto ad una ritrovata serenità famigliare dell’altra metà del cielo.”