iBanFirst-BVA Doxa: italiani sempre più favorevoli agli scambi internazionali

Milano – Il 94% degli italiani ritiene che gli scambi internazionali rappresentino un fattore altamente positivo, mentre soltanto il 4% li ritiene un qualcosa di negativo e il 2% un qualcosa di assolutamente nocivo per il proprio Paese. È quanto emerge da uno studio commissionato a BVA Doxa da iBanFirst, fornitore di servizi finanziari che offre alle PMI soluzioni su misura per la gestione di incassi e pagamenti in valuta estera, per esaminare il sentiment in merito alla nozione di libero scambio e rapporti commerciali con gli altri Paesi. Sentiment positivo corrisposto anche in Inghilterra (98%), Paesi Bassi (96%),  Germania (90%) e Francia (89%). I potenziali benefici degli scambi internazionali sono accolti positivamente dai cinque Paesi intervistati, seppur i francesi si dimostrino più scettici: solo il 78% ritiene che attraverso gli scambi internazionali i Paesi possano aumentare i collegamenti di interdipendenza, seguiti dal 76% e dal 74% che ritengono come gli scambi possano attirare i consumatori con prezzi più competitivi e abbassare i costi di produzione. Il rafforzamento dei collegamenti con gli altri Paesi attraverso gli scambi internazionali è invece accolto positivamente dall’87% degli inglesi, seguito dall’85% dei tedeschi e dall’83% degli abitanti dei Paesi Bassi. Anche gli italiani fortemente positivi con l’82% di opinioni a favore. La concezione di Open Economy, tanto dibattuta negli ultimi anni, crea una spaccatura negli intervistati: il 56% degli italiani ritiene che i lavoratori non ne trarrebbero alcun beneficio, mentre il 42% la vede come un qualcosa di totalmente positivo. Sentiment corrisposto anche in Francia, dove il 51% ne sarebbe contrario e il 47% favorevole. In Germania, invece, la visione inizia a essere più sbilanciata verso la Open Economy: il 54% degli intervistati si dichiara favorevole, mentre il 45% ritiene che possano esserci degli svantaggi. Si dimostrano più aperti invece gli abitanti dei Paesi Bassi: ben l’80% degli intervistati vede l’Open Economy come una vittoria assoluta a fronte del 19% contrario. Sulla stessa lunghezza d’onda anche gli inglesi con il 66% di positivi e soltanto il 32% contrario. Di pari passo con la Open Economy ci sono visioni contrastanti anche sulla possibilità di aumentare o meno gli scambi con altri Paesi. Il 50% degli italiani ritiene che il proprio Paese debba aumentare gli scambi internazionali, mentre il 34% pensa che il livello debba rimanere invariato. Soltanto il 15% si dimostra contrario, ritenendo idonea una riduzione degli scambi con altri Paesi. Possibilisti anche gli inglesi con il 52% che vorrebbe aumentare gli scambi, mentre il 36% non vorrebbe compiere ulteriori azioni. Sulla stessa lunghezza d’onda i tedeschi e gli abitanti dei Paesi Bassi, con rispettivamente il 26% degli intervistati favorevoli a un aumento degli scambi. Più alta invece la percentuale di dubbiosi: il 57% degli abitanti dei Paesi Bassi e il 53% dei tedeschi non vorrebbe aumentare il livello di scambi. Sentiment corrisposto anche in Francia dove soltanto il 27% ritiene idoneo un aumento a fronte del 45% che vorrebbe mantenere uno status quo. La ricerca ha esaminato anche i potenziali effetti negativi degli scambi internazionali: l’82% degli italiani rileva un eccesso di dipendenza dai Paesi stranieri per via di materie prime e prodotti energetici, il 60% pensa che il libero scambio dia vantaggio ai più ricchi a discapito dei cittadini meno abbienti: sentiment condiviso anche dai francesi (69%), tedeschi (63%), inglesi (62%) e abitanti dei Paesi Bassi (70%). il 67% degli italiani pensa infine che il protezionismo aumenti il rischio di conflitti tra Paesi. Dubbiosi sul protezionismo anche inglesi (71%) e tedeschi (70%), seguiti da francesi (63%) e abitanti dei Paesi Bassi (66%). Lo studio ha messo in risalto anche gli effetti derivati dalle misure restrittive dell’UE contro la Russia in risposta all’invasione dell’Ucraina. Il 55% degli italiani intervistati ritiene necessarie le sanzioni economiche imposte: sentiment condiviso dal 56% dei tedeschi, dal 62% dei francesi, dal 75% degli inglesi e dal 65% degli abitanti dei Paesi Bassi. La riduzione di qualsiasi scambio commerciale con la Russia è accolta in maniera favorevole da tutti e cinque i Paesi intervistati: 74% dei francesi, 73% dei tedeschi, 78% degli inglesi, 62% degli italiani e 81% degli abitanti dei Paesi Bassi. La soluzione ideale sarebbe riformare la globalizzazione e il commercio internazionale per affrontare le sfide di oggi: disordini geopolitici e cambiamenti climatici. A tal fine, il commercio internazionale dovrebbe essere riconfigurato sulla base di tre messaggi chiave: 1 – Impatto zero: il commercio internazionale vuole durare e crescere, deve adottare una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra come limite alle sue operazioni, sia attraverso il progresso tecnologico che attraverso cambiamenti nelle pratiche. 2 – Resilienza alle crisi: La crisi di Covid e la guerra in Ucraina hanno dimostrato quanto sia importante che il commercio internazionale resista meglio alle crisi e sia in grado di coordinare le catene del valore regionali e di garantire le forniture di cibo, medicinali e tecnologia. 3 – Inclusione sociale: Per essere accettato dalla popolazione mondiale, il commercio internazionale deve affrontare le sfide dell’equità e dell’inclusione per ridurre i suoi effetti negativi. “In uno scenario sempre più dominato da conflitti e problemi economici, lo sviluppo del commercio e degli scambi internazionali  è un modo per mantenere un equilibrio di pace tra Paesi. Per questo motivo noi di iBanFirst abbiamo realizzato la campagna Make Trade, not War, volta a sottolineare un messaggio di speranza e positività. Dietro al commercio internazionale ci sono i nostri clienti, uomini e donne che ogni giorno si sforzano di ridurre l’impronta ambientale e promuovono le competenze locali a livello globale – ha spiegato Michele Sansone, Country Manager di iBanfirst per l’Italia – siamo convinti che il commercio e il libero scambio possono essere messi in discussione e che vadano reinventati, ma al tempo stesso che costituiscano un indiscutibile progresso negli ultimi decenni nel creare legami tra i Paesi. Per questo diventa necessario preservarli”. C’è un filo conduttore che lega le più grandi crisi mondiali degli ultimi tempi, dalla crisi finanziaria del 2008 a quella scaturita dal Covid nel 2020: l’aumento del protezionismo. Il Fondo Monetario Internazionale ritiene che dal 2008 l’intervento statale sia cresciuto notevolmente a discapito del commercio internazionale. Questa tendenza protezionistica, sempre secondo il FMI, deriva da una combinazione di populismo crescente in Occidente, crisi geopolitiche ed economiche e cambiamenti climatici. Scenario rafforzato dal conflitto in Ucraina, dalle continue tensioni sui problemi energetici e sulle materie prime, e dal pericolo inflazione. Favorire gli scambi tra Paesi rappresenta una possibile soluzione per contrastare il protezionismo. Lo studio iBanFirst/BVA Doxa è stato condotto su un campione di oltre 5000 persone con più di 18 anni, di cui 1003 in Italia, nel periodo compreso dal 20 al 25 ottobre 2022. Tra i Paesi coinvolti anche Francia, Germania, Inghilterra e Paesi Bassi.