A Milano gli stipendi più alti
Milano – A Milano gli stipendi più alti, lo scrive Il Corriere Della Sera. La media di Trilussa dice che un lavoratore milanese porta a casa ogni giorno 31 euro in più rispetto allo standard nazionale. Ma visti più da vicino, sezionati e ponderati, quegli stessi numeri rivelano che Milano è, di fatto, un grande hub di lavoratori ricchi circondato da tanti lavoratori poveri, che guadagnano nove volte di meno. La base di calcolo sono i dati Inps, secondo i quali nel 2021 la retribuzione media su cui gravano i contributi previdenziali nell’area milanese è aumentata di 1 euro rispetto all’anno precedente, raggiungendo quota 124. Ma come ogni media anche questa contiene, anzi nasconde differenze sensibili: dietro a quei 124 euro, infatti, ci sono i 568 euro giornalieri di un dirigente maschio e i 55 di una donna che lavora come operaia, commessa o comunque a un livello basso della piramide occupazionale. E le differenze tra fasce di lavoratori e tra uomini e donne sono molte altre, come era già emerso da una precedente elaborazione condotta da Antonio Verona, responsabile del Dipartimento politiche del lavoro della Cgil milanese. Ora c’è un passo ulteriore: «Un’analisi della variazione percentuale di questi dati tra il 2015 e il 2021 dimostra che soltanto i dirigenti hanno potuto mantenere il potere d’acquisto delle loro retribuzioni e su tutto questo grava uno sfondo nel quale si distinguono 438.897 lavoratori part time, due terzi dei quali involontari, come dice una stima Istat, più della metà di questi sono operai con un reddito annuo medio di 8.736 euro». E poi ci sono 46.605 persone che hanno un contratto intermittente e 303.253 sotto la spada di Damocle del rapporto a termine. Insomma, è la conclusione dello studio Cgil, «da questi dati emerge che più di un terzo del lavoro dipendente colloca il proprio reddito al di sotto della cifra corrispondente alle condizioni dignitose di una vita normale, cifra destinata a incrementare se si include il lavoro autonomo che racchiude molte condizioni di povertà e incertezza». Eppure Milano si colloca ben al di sopra del reddito medio italiano che è di 31 euro giornalieri inferiore, una differenza pari al 33,3 pr cento. Ma a quanto risulta dai successivi incroci di numeri, quei 31 euro in più non sono affatto distribuiti equamente tra i lavoratori milanesi: «Il 69 per cento della differenza tra il reddito medio milanese e quello italiano è destinato alla categoria più remunerata e soltanto l’1 per cento alla fascia più bassa — spiega ancora Antonio Verona — e questo significa che il sistema produttivo è strutturalmente orientato alla diseguaglianza, che a Milano è trasversale: perché le condizioni disagiate non sono appannaggio delle categorie meno professionalizzate, ma riguardano anche, per esempio, i giovani degli studi legali o di architettura, i giornalisti pagati “a pezzo”, i lavoratori delle cooperative che incontriamo nei supermercati e nella logistica o gli addetti dell’editoria e dello spettacolo».