Confimi Industria: “La burocrazia Ue mette ko le imprese italiane del dispositivo medico”
Milano – Le pmi del dispositivo medico italiano sembrano avere una data di scadenza. È il 2024. Uno scenario apocalittico se si guarda nel dettaglio: niente più bisturi per i chirurghi, niente più lenti per gli ottici, niente più siringhe per gli infermieri. Un problema per gli addetti ai lavori? No, una catastrofe per la sanità italiana. Cerotti, test di gravidanza, apparecchi acustici, ausili e protesi, materassi ortopedici, termometri: la lista dei dispositivi medici è davvero lunga e incredibilmente riguarda ogni cittadino nel quotidiano. Ma come siamo arrivati a questo scenario? A ricostruire l’excursus è Massimo Pulin, imprenditore del settore e presidente di Confimi Industria Sanità. “Stiamo subendo un cambio di paradigma: dal 2017 fino a maggio 2021 abbiamo convissuto con le direttive sui dispositivi medici che avevano ben saldi due principi: la tutela della salute pubblica e la valorizzazione del settore produttivo. Oggi siamo invece alle prese con un Regolamento europeo che, seppure abbia alla base la volontà di creare un quadro normativo solido, trasparente e sostenibile che migliori la sicurezza clinica, mette in serie difficoltà i fabbricanti”. Per capire meglio le preoccupazioni di Confimi Sanità è bene citare qualche numero che consenta di inquadrare il settore: in Europa ogni anno vengono prodotti circa 28 mila tipologie di dispositivi medici da oltre 33 mila aziende di cui 4500 italiane. Nel nostro paese, il 95% delle aziende produttrici di DM sono per lo più pmi e nonostante le piccole dimensioni occupano oltre 110 mila lavoratori. Eppure, a certificare i dispositivi per esser immessi sul mercato in tutta Europa ci sono al momento solo 30 organismi preposti contro i 50 della precedente direttiva. “Questo è uno degli aspetti più drammatici” spiega Pulin “stimiamo infatti che solo il 15/20% dei dispositivi medici sarà certificato entro maggio 2024, deadline per i DM marcati con la precedente direttiva. Questo vuol dire che l’80% dei Dispositivi resterà fuori dal mercato provocando danni incredibili alla sanità, e quindi a tutti noi”. Ci sono inoltre altre due criticità che non possiamo non sottolineare: la burocrazia e i costi. “Sono state emanate oltre 100 linee guida per fabbricanti e organismi notificanti che invece di chiarire i punti più controversi del regolamento hanno creato confusione nella comprensione del percorso certificativo con conseguenti allungamenti di tempi ed aumento di costi” precisa Pulin. “Venendo a quest’ultimi, gli imprenditori del medical device si trovano di fronte a tariffe orarie degli ON comprese tra i 290€ e i 390€, con un numero di ore triplicato per la valutazione di ciascun fascicolo tecnico. Il cambio di Regolamento costa alle aziende tra le 5 e le 10 volte in più per ciascun dispositivo”. E se questo è lo scenario, ben chiare sono le richieste politiche del comparto. “È quanto mai necessario e urgente che si aprano canali rapidi per la certificazione di nuovi organismi notificanti, basti considerare che in Europa ne abbiamo 58 in attesa di accreditamento e per la sola Italia ne serviranno altri 10 oltre agli attuali 8” fa presente il numero uno di Confimi Sanità. “Vorrei poi precisare che il Regolamento è a dir poco anacronistico, sembra non tener conto – in primis – della contingenza storica legata alla difficoltà di reperire a livello globale una grande quantità di materie prime. Un prodotto certificato secondo le regole MDR può morire in poche settimane proprio a causa della irreperibilità di componenti e della rigidità delle norme relativa alla sostituzione degli stessi”. “Di questo passo, costi e tempi possono rendere antieconomico il produrre un dispositivo medico”. L’alert di Massimo Pulin è rivolto alle istituzioni nazionali ed europee ed è duplice: “Non ascoltare il comparto avrà un costo sociale altissimo: da una parte avremo un sistema socio sanitario privato della strumentistica di qualità frutto della ricerca costante e degli investimenti in innovazione realizzati dall’impresa privata italiana e dall’altro – chiude Pulin – vuol dire vedere chiudere migliaia di imprese nel giro di pochi anni e lasciati a casa oltre 100 mila famiglie”. Il rischio è alto e la posta in gioco è la salute pubblica.