Confindustria: Italia crescita zero

Confindustria: Italia crescita zero

Roma – Il centro studi di Confindustria ha illustrato oggi la propria indagine annuale che presenta un’Italia a crescita zero. Infatti si parla di sostanziale stagnazione del 2019 con un Pil a crescita zero che in caso di rialzo Iva potrebbe bissare il risultato anche nel 2020: solo una sterilizzazione dell’Iva infatti consentirebbe al Pil del prossimo anno di salire del +0,4%. L’andamento della crescita del Paese dunque “molto dipenderà, più che in passato, dalle scelte di politica economica e in particolare da come il Parlamento sterilizzerà gli aumenti dell’Iva e delle accise per 23,1 mld da 1 gennaio prossimo”, illustra il Csc. Il rapporto deficit/Pil, nel 2019 si attesterà all’1,8%, mentre nel 2020, se il governo decidesse di lasciar aumentare le imposte indirette, il rapporto deficit Pil potrebbe arrivare all’1,7%, Tuttavia, se l’aumento delle imposte indirette venisse annullato, a fronte di un impatto positivo sul Pil si avrebbe però un contraccolpo “pericoloso” sul rapporto deficit/Pil che arriverebbe “pericolosamente” vicino al 3% e molto al di sopra del 2,2% stimato dal governo nella Nadef. A questo punto, stimano ancora gli economisti, “sarebbe necessario indirizzare tutti i risparmi di Quota 100 e del reddito di Cittadinanza alla riduzione strutturale del deficit”. L’economia italiana resta comunque sotto i valori pre-crisi: a politiche invariate, infatti, (senza aumenti Iva dunque), il Pil a fine 2020 si attesterebbe poco sotto i livelli raggiunti del 2011 ma ancora inferiori del 4,3% rispetto ai massimi del 2008. “Siamo l’unico paese dell’Eurozona, insieme alla Grecia, a non aver recuperato il calo degli anni della crisi”, spiega il capo economista del Centro Studi di Confindustria, Andrea Montanino. Per Confindustria, inoltre la crescita del Pil per il 2020 appare sovrastimata sopratutto nello scenario tendenziale mentre la sterilizzazione della clausola di salvaguardia non sembra essere strutturale: significa che l’anno prossimo occorrerà recuperare ancora 28,8 miliardi. “Problematico” anche il raggiungimento del deficit programmatico 2020, al 2,2% del Pil “perché le coperture indicate nella Nadef non appaiono esaustive: per la metà infatti sono riconducibili agli effetti di misure di contrasto all’evasione che per definizione sono incerte o di tagli di spesa rinviati a un’azione di revisione in corso d’anno”, spiega ancora il Csc. La manovra del governo giallo-rosso si profila la più restrittiva dai tempi del governo Letta: ma non vuole essere un giudizio negativo. La precedente legge di bilancio, infatti, aveva lasciato una ipoteca forte sui conti pubblici: e’ restrittiva per 8 miliardi di euro non considerando le clausole di salvaguardia”, afferma il direttore del Centro studi di Confindustria, Andrea Montanino, spiegando l’impatto e il peso dei 23,1 mld necessari a sterilizzare le clausole di salvaguardia. La manovra netta che il Governo intende proporre con la prossima legge di stabilità “sarà espansiva per 0,8 punti di Pil pari a 15,3 mld”, si legge ancora nel rapporto Csc per il quale però la parte di manovra che inciderà effettivamente sull’economia reale “si otterrebbe escludendo i 23,1 mld necessari ad annullare la clausola di salvaguardia”. In questo caso dunque “il deficit tendenziale ebbe apri al 2,7%” che costringerebbe il governo, per portarlo a quel 2,2% previsto nella Nadef, a mettere in campo una manovra netta restrittiva per 0,5 punto di Pil, pari a circa 8 miliardi”. Secondo le previsioni di autunno, senza un Pil che riparta anche l’occupazione non potrà continuare a crescere. I primi segnali sono già arrivati tra luglio e agosto scorsi, mesi duranti i quali l’espansione si è quasi fermata. Per questo se nel 2019 i nuovi posti di lavoro potranno ancora segnare un +0,6%, nel 2020 a fronte di una probabile stagnazione e crescita zero del Pil l’occupazione si attesterà sul +0,2%. Un rallentamento che, spiegano gli economisti di viale dell’Astronomia, tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 à stato accompagnato da un ritorno nell’utilizzo della CIG che è il “segno delle difficoltà delle imprese”. Conseguentemente anche la disoccupazione potrebbe arrestare il suo percorso di rientro e subire una battuta di arresto: per questo il Csc stima che il tasso di disoccupazione nel 2019 si attesterà sul 9,8% in media d’anno e rimarrà ancorato intorno a questo valore , il 9,7%, il prossimo anno.