Monza: Rapporto sull’economia globale e l’Italia (2)

Monza – La sintesi del XXI Rapporto sull’economia globale e l’Italia “Globalizzazione Addio?”, parte dall’ elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, contro le previsioni pressoché generali, che ha suggellato un anno bisestile sviluppatosi all’insegna della disgregazione dell’ordine politico ed economico globale che sembra farsi strada molto rapidamente sia nel contesto internazionale sia all’interno dei singoli Paesi. Il dichiarato protezionismo del nuovo Presidente americano ne è un caso da manuale. L’orizzonte mondiale, e soprattutto europeo, appare contrassegnato da ancor più numerose discontinuità (la Brexit, i migranti, il terrorismo) che dovranno essere affrontate e risolte. Per l’Italia, il compito appare abbastanza chiaro: si tratta di non spegnere, ma anzi di rafforzare, i lumicini di ripresa che ardono ormai in gran parte dell’economia ma che non riescono a fornire sufficiente luce e calore, come le precedenti edizioni del Rapporto hanno evidenziato. Lo scenario economico internazionale appare sempre più influenzato dalle vicende politiche (il cambio della guardia alla Casa Bianca negli USA), che ha suggerito il titolo del rapporto di quest’anno Globalizzazione addio? e l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. I mutamenti politici si inseriscono a loro volta in un quadro globale marcato da un progressivo invecchiamento della popolazione (in particolare in Europa e in Giappone) e da una crescita dal 2011 al 2016 inferiore alle aspettative (il curatore del rapporto Mario Deaglio parla a questo proposito di crescita faticosa). Il rapporto mette in luce come nonostante si sia registrata una crescita negli ultimi anni, sia impossibile nel futuro replicare i tassi di crescita dell’epoca pre-crisi, perché “ la crisi ha ridotto in qualche modo la cilindrata del motore”. Il rischio è di andare incontro ora a una “stagnazione secolare” che si affianca al già citato problema demografico e ad una concentrazione della ricchezza in poche mani. Negli USA i mutamenti politici si saldano con una trasformazione progressiva della middle class in working class, con la classe media che nell’ultimo decennio, complice la trasformazione del lavoro a seguito dell’ingresso delle nuove tecnologie, ha perso 10 punti e comprende ora “solo” il 41% della popolazione. Una nota positiva viene dall’Africa, interessata negli ultimi nove anni da una crescita del Pil superiore alla media (3,5% nel periodo 2008-15), nonché nel 2015 da un aumento di investimenti diretti del 7%, a cui l’Italia ha partecipato in maniera significativa. Rispetto al nostro Paese, il rapporto è relativamente ottimistico, mettendo in luce segnali di ripresa più diffusi rispetto a un anno fa, tra cui spiccano le buone performance dell’agricoltura – diventata, anche grazie all’effetto Expo, la prima in Europa – la crescita delle esportazioni e la creazione di un milione di posti di lavoro in più rispetto al 2014. Fa ben sperare anche il dato delle start up innovative, passate da 500 nel 2013 ad oltre 6.000 nel 2016 e il dinamismo della “sharing economy”, che dopo aver generato scambi per 3,5 miliardi nel 2015 arriverebbe a creare oltre 25 miliardi nel 2025. La sfida per il futuro è di rendere la ripresa duratura e non effimera, sciogliendo i due nodi critici del debito pubblico e della produttività che ancora bloccano il Paese.