Denuncia della Filcams Cgil sulle condizioni di lavoro del commercio
Milano – Appello di Samuele Gatto, segretario generale Filcams Cgil Milano, sulle condizioni di lavoro del settore. “Con questa lettera aperta – scrive Gatto – vorrei porre all’attenzione dell’opinione pubblica, delle istituzioni locali e delle associazioni datoriali milanesi di Confcommercio, Confesercenti, Distribuzione Cooperativa e Federdistribuzione la condizione di lavoratrici e lavoratori della moda, dei tanti piccoli e medi negozi, della grande distribuzione alimentare e non alimentare che popolano i nostri quartieri e le nostre città. Una condizione che non può più essere taciuta perché parliamo di donne e uomini che incontriamo quotidianamente e che sovente ci appaiono invisibili se non propaggini del negozio stesso negandogli implicitamente il valore e la dignità del loro lavoro. Vorrei partire dal tema degli orari di apertura al pubblico e delle aperture festive che, a seguito delle liberalizzazioni selvagge introdotte dal Governo Monti ormai più di un decennio fa, hanno portato ad una totale deregolamentazione tale per cui le condizioni lavorative sono drasticamente peggiorate. Parliamo di orari di chiusura che arrivano fino alle 21 o 22, o addirittura oltre la mezzanotte (vedi Carrefour), e di festività ormai cancellate dal calendario, come dimostrano le pianificazioni di dicembre con le aperture dei centri commerciali anche nei giorni festivi. Qualcuno potrebbe obiettare che l’allungamento degli orari di apertura abbia prodotto benefici in termini occupazionali ma purtroppo i dati smentiscono questa tesi. La percentuale di forza lavoro a tempo parziale in questi settori si attesta oltre il 50% caratterizzandosi nella stragrande maggioranza dei casi come involontario. Non solo, questa condizione si aggrava da una continua richiesta di flessibilità, spesso associata all’uso di algoritmi sugli orari di lavoro che determinano una costante ma rapida variazione degli orari agevolata purtroppo dalle recenti norme introdotte circa la regolamentazione del part-time. Di conseguenza, lavoratrici e lavoratori non riescono a programmare la propria vita. L’effetto di tutto ciò è che, nonostante i rinnovi dei contratti nazionali e indipendentemente dal valore della paga oraria, le retribuzioni difficilmente superano i 1000 € al mese. Inoltre si sta sempre più caratterizzando come un fenomeno di discriminazione di genere dato che tre quarti delle persone occupate con questo regime orario sono donne e questo rappresenta una vera emergenza nazionale. Possiamo affermare con certezza che le imprese di questi settori utilizzano il part-time in modo strutturale, rendendolo di fatto involontario per lavoratrici e lavoratori. Questa condizione, pertanto, non offre alcun beneficio né in termini di conciliazione tra vita privata e lavoro, né dal punto di vista economico. A questo punto mi chiedo, e chiedo anche a voi: quale interesse superiore di pubblica utilità può giustificare questa scelta? Ci si è mai soffermati a riflettere sulle reali conseguenze per chi subisce le implicazioni di questo modello? Che tipo di società stiamo costruendo se mettiamo sempre e comunque il diritto al consumo al di sopra di tutto? Non intendo scivolare nella retorica o nel miserevole pietismo, ma vorrei sollecitare una discussione su quale modello di società ed economia desideriamo costruire. Certamente esiste un problema normativo e, purtroppo, constatiamo una tendenza da parte di questo governo a marginalizzare il lavoro. Tuttavia, ciò non può e non deve tradursi in una deresponsabilizzazione delle parti sociali e delle istituzioni locali. Responsabilità significa assumere impegni che sappiano addivenire a modelli più attenti alle ricadute sociali e al rispetto della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori. È importante ricordare che il nostro territorio, per sua vocazione, ha storicamente rappresentato un’avanguardia nei processi sociali di questo Paese. Ci sono buone prassi ed esempi concreti, come la decisione di Esselunga di anticipare gli orari di chiusura al pubblico, che dimostrano come sia possibile adottare soluzioni più equilibrate, fattibili ed economicamente sostenibili. Sappiamo bene che questa discussione non riguarda solo il commercio. Anche il turismo, la ristorazione e i pubblici esercizi affrontano gli stessi problemi, che non possono essere giustificati dalla presunta natura antisociale degli orari tipici di questi settori (basti pensare a un ristorante o alla reception di un albergo). Questo disallineamento con gli orari comuni della maggioranza della popolazione è molto gravoso per chi ci lavora (pensiamo, ad esempio, all’assenza di mezzi pubblici in alcune fasce orarie notturne). Ma lo è ancor di più per chi deve gestire anche carichi di cura. Invito quindi il Comune e le associazioni datoriali locali a avviare un confronto con le organizzazioni sindacali per sviluppare protocolli di autoregolamentazione sulle chiusure festive, sulla riduzione degli orari di chiusura delle attività commerciali e, soprattutto, sulla condivisione di modelli organizzativi equilibrati che affrontino realmente la questione salariale, collegata al lavoro a tempo parziale involontario, e che permettano di raggiungere un bilanciamento sostenibile tra vita di lavoro e vita sociale, affinché si possa contribuire a migliorare la condizione di migliaia di lavoratrici e lavoratori e a garantire un minimo di attrattività a settori che, ormai in difficoltà cronica, faticano a reclutare personale”, conclude il sindacalista.