Le proposte della Cgil al governo che verrà

Le proposte della Cgil al governo che verrà

Roma – I dati a conferma di questa necessità continuano a fioccare: gli ultimi vengono dal Rapporto trimestrale dell’Istat sull’occupazione che, oltre a certificare ancora una volta il record assoluto dei contratti a tempo determinato, descrive un altro fenomeno, forse ancora più inquietante: e cioè che la durata di un terzo dei suddetti contratti arriva al massimo a 30 giorni. Non solo: un altro 36% lavora da 2 a 6 mesi e solo l’1% supera un anno di attività. Sempre l’Istat ci dice che i contratti fino ad una settimana pari al 23,7% sono aumentati di quasi 4 punti rispetto al II° trimestre del 2021. Quando un rapporto di lavoro dura così poco, questa condizione come è evidente incrocia tante altre questioni: tenore di vita, sicurezza, futuro previdenziale e così via. E non è un caso che il decalogo proposto dalla Cgil parta proprio da questi due temi: retribuzioni e precarietà. Sul primo punto, la Confederazione di corso d’Italia chiede di “tutelare e aumentare il potere di acquisto di salari e pensioni” e, insieme, “intervenire a livello nazionale ed europeo sulla formazione dei prezzi” e fissare un tetto alle bollette. Bene il salario minimo, tuttavia “legato al trattamento economico complessivo dei Ccnl”. Serve anche una legge sulla rappresentanza e rinnovare i contratti. Non solo contrattazione, però: occorre anche agire sul fisco e quindi no Flat Tax e condoni, sì a una riforma progressiva e redistributiva; bisogna poi abbattere l’evasione e l’elusione fiscale, tassare gli extraprofitti e redistribuirli ai redditi da lavoro e alle pensioni più basse. Quanto alla precarietà, si parte dal superamento del Jobs Act e di tutte “le norme che hanno precarizzato il lavoro, abolendo le tipologie di lavoro precario e sottopagato e introducendo un contratto unico di ingresso a contenuto formativo ed estendendo le tutele dei lavoratori autonomi”. Poiché il lavoro cambia, serve anche “definire un Nuovo statuto dei diritti per tutto il mondo del lavoro”. Leva fondamentale, poi, “condizionare i finanziamenti e le agevolazioni pubbliche collegandoli alla stabilità dell’occupazione e contrastare le delocalizzazioni” e puntare a una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Va esteso “a tutto il sistema degli appalti e dei subappalti privati il rispetto e l’applicazione dei contratti nazionali e delle clausole sociali”. Bisogna contrastare le mafie, lo sfruttamento lavorativo, il caporalato e il lavoro nero e servono prevenzione, formazione e inasprimento delle sanzioni per fermare le morti sul lavoro. Se c’è una cosa che la pandemia ha dimostrato è l’importanza del sistema pubblico in tutte le sue articolazioni, dalla scuola alla sanità. Per questo occorre investire risorse “attraverso un piano straordinario di assunzioni pubbliche e di stabilizzazione del personale precario” e affermare, ma non a parole, la “centralità del servizio sanitario pubblico e universalistico e del sistema pubblico di istruzione e conoscenza”. Non meno importante “garantire una misura universale di lotta alla povertà, come il reddito di cittadinanza”, introdurre finalmente una legge sulla non autosufficienza e ribadire con forza il “no alla autonomia differenziata”, garantendo “l’esigibilità di diritti e l’accessibilità alle prestazioni in modo uniforme in ogni territorio”. Va poi del tutto cambiate la legislazione sull’immigrazione. Sulle pensioni la posizione della Cgil è chiara da tempo: bisogna “modificare radicalmente il sistema previdenziale superando la riforma Fornero e ricostruendo un sistema previdenziale pubblico, solidaristico ed equo che unifichi le generazioni – pensione contributiva di garanzia – e le diverse condizioni lavorative – gravosi, lavoro di cura e delle donne – e garantisca flessibilità in uscita a partire da 62 anni o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età”. Nel decalogo della Cgil si sottolinea, infine, la necessità di “nuove politiche industriali e la costituzione di un’Agenzia per lo sviluppo dotata di poteri e di un Fondo speciale per le transizioni ambientale e digitale per rafforzare gli strumenti di governo delle crisi e delle riconversioni”. La transizione, necessaria, deve però essere “giusta”. Serve dunque un Piano nazionale “per garantire la tutela e continuità occupazionale, creazione di nuova occupazione e diritti” e inoltre un “piano strategico per l’autonomia energetica con conseguente e fondamentale accelerazione degli investimenti nelle fonti rinnovabili”. Ineludibile, infine, “recuperare i divari territoriali e di sviluppo a partire dal Mezzogiorno”, riqualificare le grandi periferie urbane e le aree interne e incrementare l’edilizia pubblica e sociale.