Dipendenze Patologiche sempre più diffuse tra giovani e adulti: le regioni non riescono a garantire le cure

Roma – Trascurate per anni, nonostante la tendenza in aumento, con la crisi coronavirus le patologie legate alle dipendenze patologiche hanno compiuto un ulteriore balzo in avanti. Molte Regioni, tuttavia, non riescono nemmeno ad assicurare i livelli essenziali di assistenza (Lea) perché da tempo hanno ridotto la spesa sanitaria, causando difficoltà di accesso alle cure nelle strutture residenziali.

Le questioni più urgenti legate alle varie forme di dipendenza sono al centro del convegno “Servizi minimi da garantire nelle Regioni italiane”, in programma il 10 giugno a Oristano. Una discussione che parte dagli ultimi preoccupanti dati ufficiali: nell’indagine ISTAT sui giovani e sulle dipendenze e nella relazione annuale al Parlamento, si legge che nel 2019 le dimissioni ospedaliere di giovani fino a 34 anni, con diagnosi principale droga-correlata, sono state 2.918, pari a circa il 40% del totale dei ricoveri droga-correlati. Il numero delle ospedalizzazioni droga-correlate è aumentato fino ad arrivare a 8.711 (+ 40,2%) se si fa riferimento a tutte le diagnosi riportate nelle schede di dimissione ospedaliera, principali e secondarie (diagnosi multiple). Negli ultimi quattro anni, vi è inoltre un aumento del 27% dei giovani tra 15 e 25 anni con dipendenza patologica e un trend europeo che registra un più 7% delle dipendenze negli adulti. 

Di fronte a questo drastico aumento, molte Regioni non riescono a stare al passo. In Abruzzo, Molise, Lazio, Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia, ad esempio, non ci sono strutture accreditate per i minori tossicodipendenti o con problemi di doppia diagnosi e mancano anche le strutture per madri tossicodipendenti con bambino.

Manca la capacità di progettare con una visione di lungo periodo e di sistema e quella di incidere nei meccanismi di valutazione del fabbisogno delle singole Regioni. Verificare e quantificare il fabbisogno è un’operazione rigorosa, i cui meccanismi di calcolo devono essere trasparenti e vedere coinvolti tutti i protagonisti del sistema di cura. Il fabbisogno, inoltre, non può essere legato all’aspetto economico, ma deve restare indipendente da quest’ultimo”, spiega la dottoressa Giovanna Grillo, che oltre a essere rappresentante del coordinamento delle comunità terapeutiche della regione Sardegna e delle INTERCEAR (Coordinamento nazionale delle comunità terapeutiche accreditate) è presidente della cooperativa sociale Casa Emmaus,

Le reti e i coordinamenti che si sono dati appuntamento a Oristano intendono presentare alla conferenza Stato-Regioni un documento che proponga un omogeneizzazione sul territorio nazionale delle tipologie di servizi, oltre a nuovi requisiti organizzativi e costi delle rette.

Un cittadino di Palermo ha lo stesso diritto ad accedere alle diverse tipologie di cura presenti in Piemonte. Inoltre, molte regioni non hanno rette o contratti adeguati all’aumento del costo della vita o ai contratti collettivi nazionali di lavoro. In Sardegna, ad esempio, le rette non sono state riviste dal 2013 e non coprono il costo delle figure professionali obbligatorie per i requisiti di accreditamento. Si tratta di una situazione critica, perché le strutture stanno per chiudere”, conclude Grillo.