Women in Charge: indagine sui percorsi di carriera delle donne

Milano – Le donne che raggiungono i vertici delle organizzazioni hanno qualcosa di diverso in termini di competenze rispetto alle altre donne? O sono state “semplicemente” più combattive e fortunate di altre? L’indagine “Women in Charge. Analisi delle differenze di genere ai vertici delle imprese”, realizzata da Badenoch + Clark in collaborazione con JobPricing, e presentata oggi nell’ambito del terzo appuntamento di Sparks of Knowledge 2021, punta a descrivere il profilo di carriera delle “donne che ce l’hanno fatta” mediante le loro percezioni ed esperienze. I risultati (poche buone notizie). 1 uomo su 4 ha difficoltà ad accettare un capo donna, in media viene chiesto ad una donna di essere più performante di un uomo, il 77% ritiene che sia più probabile la promozione per i colleghi uomini, il 90% pensa che l’offerta di crescita retributiva per una manager sia inferiore rispetto a quella degli uomini. In definitiva: le manager dovendo dare un consiglio alle giovani donne suggeriscono loro di andare a lavorare all’estero. L’indagine è stata realizzata analizzando i percorsi di carriera e le preferenze di 580 donne tra quadri e manager e prova a mettere insieme gli elementi che caratterizzano il cammino, i traguardi e gli ostacoli di carriera, le conseguenze sulle organizzazioni, le caratteristiche personali delle donne manager rispetto agli uomini e come tutta la sfera del lavoro si interfacci con il cosiddetto lavoro di cura, che, in media, pende sproporzionatamente sul capo delle donne. I risultati nel dettaglio. Il 68% delle donne afferma che negli ultimi 10 anni le possibilità per le donne di affermarsi sono aumentate. In Italia, questo cambiamento è influenzato anche dalle cosiddette quote di genere che però non hanno positivamente indotto al cambiamento anche le società di capitali private non quotate. Inoltre, la presenza femminile è spesso relegata a cariche di minore importanza o comunque non esecutive. Rispetto a questo tema, nel campione delle intervistate, si rileva che il 51% crede che, nonostante la loro utilità, le quote di genere non rappresentino uno strumento indispensabile; non solo: quasi il 23% pensa perfino che siano inutili e dannose. Nonostante la maggioranza delle manager riconosca un processo di miglioramento, il peso della disparità di trattamento è ancora significativamente presente. Relativamente alle probabilità di promozione, solo il 21% delle rispondenti pensa che non ci siano differenze tra uomini e donne, mentre il 77% ritiene che sia più probabile la promozione per i colleghi uomini. In caso di promozione, il 90% delle rispondenti pensa che l’offerta di crescita retributiva per una manager sia inferiore rispetto a quella degli uomini. Dovendo dare un consiglio ad una donna che vuole sviluppare un percorso di carriera, sono quasi tutte d’accordo: l’estero o l’organizzazione estera sono preferibili all’Italia. Secondo le intervistate, il più comune tra gli stereotipi proposti è quello per cui le donne che si affermano professionalmente sacrificano il loro ruolo di madre, o detto in altre parole, non sono delle buone madri (7,6/10). Il secondo è intrinsecamente legato al primo: affermarsi professionalmente implica non curarsi abbastanza della famiglia (7,3/10). Un altro assunto discretamente diffuso è quello che attribuisce alle donne che fanno carriera delle peculiarità da uomo (6,7/10), sottendendo che le donne possiedono delle caratteristiche inadatte alla carriera. Quello che emerge è che, rispetto agli uomini, per 11 caratteristiche su 20 le rispondenti pensano che alle donne sia richiesto di dare di più degli uomini e solo sulle restanti 9 prevale l’idea di un trattamento egualitario. Alcuni esempi: essere più capace di gestire lo stress è stato scelto quasi dall’80% delle   rispondenti; non vi sono invece differenze per il 70% delle intervistate per quanto riguarda la lealtà e la trasparenza. Competitività e ambizione sono le caratteristiche che alcune donne percepiscono essere loro meno richieste, rispettivamente nel 16 e 18% dei casi. Dall’analisi emerge che, nel momento di prendere decisioni importanti, le donne sono meno ascoltate dei colleghi uomini per il 48% delle rispondenti, mentre il 46% pensa che non ci siano differenze. Il 53% delle intervistate afferma che in passato gli uomini avevano più difficoltà ad accettare una donna come capo diretto, mentre circa il 24% crede le abbiano ancora. Se invece si pensa alla relazione tra donne e responsabili donne, il 66% dichiara che in prevalenza le donne non hanno problemi con una responsabile donna, mentre il 21% ritiene che in passato vi fossero più difficoltà ad accettare questo tipo di rapporto. Circa il 72% delle intervistate ritiene che la tipologia di titoli conseguiti abbia apportato un valore alla propria carriera. Come prevedibile, tra le donne con i titoli di istruzione più alti (Laurea magistrale, Master II livello e Dottorato di ricerca) questa percentuale è più alta della media. Entrando nello specifico delle caratteristiche personali che hanno concretamente permesso di raggiungere i traguardi di carriera, è stato chiesto alle manager di ordinarne 5 per importanza.  Dai voti delle intervistate emerge che al primo posto si posizionano le soft skill, seguite dai valori personali e dall’etica del lavoro; al terzo posto le hard skill e, infine, in quarta e quinta posizione, essersi poste un obiettivo fin dal principio della carriera e il contesto familiare. Ampliando la scelta dei fattori che possono risultare importanti per la carriera, è stato chiesto alle manager di attribuire un voto da 0 a 10 a ciascuno di essi. I fattori giudicati più rilevanti, con una media intorno al 9/10, sono la determinazione, l’impegno e le caratteristiche personali. L’elemento che in media viene considerato meno importate è l’aver avuto a che fare in passato con figure femminili in posizioni apicali (3,6/10). La valutazione dell’importanza di aver incontrato figure femminili in posizioni apicali e quella della discriminazione di genere nell’ambiente di lavoro (5,8/10) possono sembrare, in prima lettura, inaspettatamente basse, ma se si pensa alla misura della diffusione della discriminazione di genere e a tutte le sue forme, risulta evidente che non possono essere stati dei fattori chiave per lo sviluppo della carriera delle intervistate. In altre parole, le lavoratrici sono talmente abituate a subire una discriminazione e ad essere sottorappresentate nei vertici aziendali, che quando questo non si verifica “quasi non ci fanno caso”. Gli ambienti professionali in cui non si osserva alcun tipo di discriminazione sono, purtroppo, solo la minoranza dei luoghi di lavoro. Questi fattori assumono più o meno rilevanza per manager con caratteristiche differenti. Ad esempio, l’importanza dell’istruzione passa da circa 7 a circa 9 per chi possiede un dottorato di ricerca o tra le manager di età più elevata; o ancora, il settore di lavoro diventa più importante per coloro che lavorano nelle funzioni IT, manutenzione o produzione, mentre l’area professionale diventa più importante, tra gli altri, per coloro che lavorano nel settore aeronautico, assicurativo o metallurgico. Circa il 28% delle intervistate dichiara di essere una caregiver, ovvero è responsabile della cura di altre persone che non siano i propri figli. Tra queste, circa il 21% si dedica alla cura dei genitori, il 6% di altri parenti e circa l’1% di amici. La distribuzione del tempo dedicato al lavoro di cura è la variabile più esplicativa del motivo per cui i carichi di famiglia risultino essere uno tra gli ostacoli principali alla carriera: va oltre le 21 ore settimanali per il 42% delle rispondenti con figli minori e per il 34% di chi è caregiver. Ciò vuol dire che è come se le donne che lavorano, oltre al loro contratto full-time, ne avessero anche uno part-time aggiuntivo non retribuito. In aggiunta, se in media nel 15% dei casi non esiste qualcuno su cui appoggiarsi per la gestione del lavoro di cura, per le manager che sono anche caregiver questa percentuale sale al 18%, rendendo ancora più difficoltosa la conciliazione del lavoro con la sfera della vita privata. Il 38% delle donne intervistate individua l’ostacolo principale nel fatto che gli uomini, a parità di caratteristiche, vengono comunque privilegiati nel raggiungimento dei vertici aziendali; per il 36%, invece, l’ostacolo principale è rappresentato dai carichi di famiglia e dalla mancanza di strumenti di effettiva conciliazione. Infine, il 21% ritiene un ostacolo lo stereotipo delle caratteristiche maschili imposte alle donne che vogliono affermarsi. Discriminazione e lavoro di cura sono, come ci si poteva aspettare, i principali antagonisti dei percorsi di carriera. “Al di là delle buone intenzioni occorre scovare quei driver sui quali costruire un futuro diverso, in cui si compiano azioni in grado di abbattere definitivamente gli ostacoli che si frappongono tra donne e mondo del lavoro, garantendo retribuzioni consone nonché percorsi strategici nelle aziende per migliorare la carriera delle donne e aprire la strada a posizioni di leadership” ha commentato Alexandra Andrade SVP Professional Recruitment Head Southern Europe di Badenoch + Clark e Spring Professional