Smartworking, quando a pagare sono i più deboli

Smartworking, quando a pagare sono i più deboli

Roma – Un approfondimento sul tema smartworking su La Stampa a cura di Pietro Garibaldi (Università di Torino). “Nel picco della pandemia e durante i quasi due mesi di lock-down, il lavoro da remoto ha evitato all’economia italiana un tracollo peggiore di quello che abbiamo vissuto. Accesso alla banda larga e l’adozione di tecnologie che consentono di incontrarsi a distanza hanno permesso a milioni di lavoratori italiani di continuare a lavorare da salotti, tinelli, cucine e camere da letto. A sei mesi dal picco dell’epidemia, e grazie alla buona tenuta del nostro sistema sanitario, le riflessioni sul lavoro a distanza devono farsi più sottili e profonde. Nei giorni scorsi Sandra Riccio su La Stampa ha raccontato che una delle principali banche olandesi in Italia lascerà scegliere la modalità di lavoro ai suoi mille addetti sparsi in 33 filiali. Gli impiegati della banca potranno quindi continuare a lavorare in remoto per il resto del 2020. Gli uffici saranno aperti, ma da utilizzare solo se necessario. Queste decisioni- totalmente legittime e figlie delle circostanze eccezionali in cui viviamo- fanno probabilmente piacere ai mille lavoratori della banca olandese. Tuttavia, questa nuova organizzazione del lavoro rischia di travolgere interi settori di servizi al dettaglio, oltre a svuotare i quartieri dove si svolgevano i servizi avanzati, nel nostro caso spesso coincidenti con i centri città. Nell’ultimo decennio, i lavori “buoni”- quelli che sostengono la creazione di lavoro nel lungo periodo- sono stati creati nei servizi ad alta intensità di capitale umano: economia digitale ed elettronica, scienze dell’intelligenza artificiale, finanza e assicurazioni. L’articolo di Garibaldi prosegue con l’analisi delle ricerche più avanzate sulle trasformazioni del lavoro e sul rapporto tra lavori innovativi forti e lavori deboli.