Candriam: per il 2020 prospettive economiche sottotono

Milano – Il 2019 è stato caratterizzato da un significativo rallentamento dell’economia a livello globale, con la crescita che è scesa al 3%, il dato più basso dalla crisi finanziaria del 2008. Questo rallentamento ampiamente condiviso, che ha colpito quasi tre quarti dell’economia mondiale, è dovuto principalmente all’acuirsi delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, ma anche altri fattori, tra cui le crisi economiche in vari paesi nel mondo (Argentina, Turchia, Venezuela, etc.), le difficoltà del settore automobilistico europeo, o le incertezze legate alla Brexit, hanno avuto un’influenza determinante sulla situazione globale. “Cambiando improvvisamente le regole del gioco economico e riducendo la visibilità delle aziende, la guerra commerciale ha ampiamente contribuito al rallentamento del commercio mondiale e degli investimenti delle imprese“, ha afferma Anton Brender, economista capo di Candriam. Non a caso, la Cina è il Paese più direttamente colpito, ma gli Stati Uniti non sono certo stati risparmiati: si è osservato anche un rallentamento delle esportazioni e delle spese in conto capitale. Per gli Stati Uniti, questa guerra commerciale non sarà stata né “buona” né “facile da vincere”, e anche se domani tra Donald Trump e Xi Jinping si raggiungesse una tregua, è improbabile che l’incertezza generata si dissolva rapidamente. Intrappolate nelle turbolenze commerciali e di fronte al rallentamento dell’economia, le autorità cinesi hanno perseguito una politica particolarmente prudente. Hanno alleggerito le condizioni di credito per le PMI, hanno adottato misure a sostegno del settore immobiliare, automobilistico e anche degli investimenti infrastrutturali ma, a differenza del 2015-16, questa volta lo stimolo è stato calibrato non tanto per stimolare la crescita quanto per evitare un rallentamento troppo improvviso dell’economia. In un contesto di persistenti tensioni geopolitiche, le autorità continueranno a dar prova di moderazione: la crescita continuerà a rallentare nel 2020, scendendo leggermente al di sotto del 6%. L’economia statunitense non è stata risparmiata: anche in questo caso la crescita, come nelle altre principali economie, ha subito un rallentamento. Mentre i consumi rimangono sostenuti, le esportazioni hanno risentito del deterioramento del contesto globale e della forza del dollaro. In particolare, le spese in conto capitale hanno subito un notevole rallentamento: in attesa di un miglioramento sulla visibilità, molte aziende hanno preferito rinviare i  grandi progetti. Di fronte a queste difficoltà, la Federal Reserve ha avuto poca scelta: dopo aver alzato i tassi fino alla fine del 2018 per rallentare un’economia che le politiche fiscali di Donald Trump avrebbero potuto portare oltre la piena occupazione, ha dovuto invertire questa tendenza. Questo allentamento monetario, che dovrebbe stimolare gli investimenti residenziali, combinato con l’aumento ancora solido dei salari, dovrebbe contribuire a evitare la recessione, ma la crescita continuerà a rallentare nel 2020. “A più lungo termine, tuttavia, il mix di politiche in atto è assurdo“, osserva Anton Brender. Dato l’elevato deficit del bilancio federale e i tassi d’interesse di riferimento ancora molto bassi, le autorità americane non avranno margini di manovra quando gli Stati Uniti entreranno nella prossima recessione: “il rilancio dell’economia sarà senza dubbio più difficile!”, ha aggiunto Florence Pisani, Direttore ricerca economica. In pochi trimestri la crescita europea ha subito un notevole rallentamento: prossima al 3% a fine 2017, nell’autunno 2019 è appena al di sopra dell’1%. La causa è da ravvisarsi in un mix di fattori congiunturali e strutturali (tensioni commerciali, incertezza sulla Brexit ma anche difficoltà nel settore automobilistico…). “Ma la maggior parte del calo, soprattutto in Germania, proviene dall’esterno: la domanda interna ha retto piuttosto bene“, osserva Florence Pisani. Nel 2020, la crescita dell’Eurozona dovrebbe attestarsi intorno all’1%. Dato il limitato margine di manovra monetaria, per ridare slancio a tale crescita è necessario modificare l’orientamento della politica di bilancio. Molte speranze sono riposte nella Commissione Europea e nell’ambiziosa agenda proposta dal suo nuovo Presidente: Ursula Von der Leyen si è data cento giorni per concludere un green deal e fare dell’Europa “il primo continente a raggiungere la neutralità climatica” entro il 2050. “Il progetto, tuttavia, è meno ambizioso di quanto sembri“, sottolinea Florence Pisani: l’orizzonte è lungo e le rigidità del quadro politico europeo lasciano poche speranze in merito alla capacità dell’Europa di mettere rapidamente in atto, tramite questo progetto, una vera strategia di crescita.