Roma – Il monte redditi da lavoro dipendente (retribuzioni lorde) ha segnato, tra il 2008 e il 2019, +14,1%, da paragonare con un’inflazione che nello stesso periodo è stata del 16,9%: una leggera perdita, dunque, in termini reali. Aggravata dal fatto che il monte retributivo adesso si distribuisce su circa 855.000 lavoratori in più. Lo rivela l’Osservatorio sul mercato del lavoro di ITINERARIPREVIDENZIALI (‘Dinamiche e linee di tendenza del secondo trimestre 2019’), curato dall’economista Claudio Negro. La retribuzione lorda reale di fatto, invece, che nel 2010 era di 30.272 euro annui, nel 2017 era scesa del 7% e ha continuato a scendere: fatto 100 il 2015, nel primo trimestre 2019 era a 95,96. “Si tratta della retribuzione per Ula ossia della media per un occupato a tempo pieno, ma i valori scendono più che proporzionalmente per i part-time: stando all’ultimo dato disponibile Istat, nel 2016 la retribuzione oraria media del full-time era 11,99 euro, quella del part-time 9,96”, spiega l’indagine. Questo dato spinge verso il basso la retribuzione media complessiva, accanto alla dinamica per cui la nuova occupazione creata, oltre a essere in buona parte part-time, è generalmente meno qualificata di quella perduta. Le retribuzioni contrattuali sia pure di poco sono in crescita: dall’indice 100, del 2016 al 103,4 di giugno 2019. Il punto è che la retribuzione contrattuale riguarda i trattamenti minimi – paga base, scatti di anzianità, elementi consolidati quali premi collettivi fissi – ma non include le voci variabili – straordinari, premi di risultato, maggiorazioni turno, festività e lavoro notturno – che sono quelle che determinano il salario di fatto.