Censis-Confcooperative: 5,7 mln a rischio povertà entro il 2050

Roma – I giovani di oggi rischiano di essere i poveri di domani. Precari, Neet, working poor e “lavoro gabbia”, un esercito di 5,7 milioni di lavoratori che, se questa tendenza non dovesse essere invertita, rischiano di alimentare le fila dei poveri in Italia entro il 2050. Il ritardo nell’ingresso nel mondo del lavoro, la discontinuità contributiva, la debole dinamica retributiva che caratterizza molte attività lavorative rappresentano un pericoloso mix di fattori che proietta uno scenario preoccupante sul futuro previdenziale e la tenuta sociale del Paese, dove le condizioni di nuove povertà, determinate da pensioni basse, saranno aggravate, inoltre, dall’impossibilità, per molti lavoratori, di contare sulla previdenza complementare come secondo pilastro pensionistico. È quanto emerge dal focus Censis Confcooperative “Millennials, lavoro povero e pensioni: quale futuro?”. Secondo Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative “queste condizioni hanno attivato una bomba sociale che va disinnescata. Lavoro e povertà  sono due emergenze sulle quali chiediamo al futuro governo di impegnarsi con determinazione per un patto intergenerazionale che garantisca ai figli le stesse opportunità dei padri. Non sono temi di questa o di quella parte politica, ma riguardano il bene comune del paese. Sul fronte della povertà il Rei con un primo stanziamento di 2,1 miliardi che arriverà a 2,7 miliardi nel 2020 fornirà delle prime risposte, ma dobbiamo recuperare 3 milioni di Neet e offrire condizioni di lavoro dignitoso ai 2,7 milioni di lavoratori poveri. Rischiamo di perdere un’intera generazione”. Già oggi, il confronto fra la pensione di un padre e quella prevedibile del proprio figlio segnala una decisa divaricazione del 14,6%. A un giovane che ha iniziato a lavorare nel 2012 a 29 anni, per il quale si prefigura una carriera continuativa come dipendente, 38 anni di contribuzione e uscita dal lavoro nel 2050 a 67 anni, il rapporto fra pensione futura e ultima retribuzione si dovrebbe fermare al 69,7%, quasi quindici punti percentuali in meno.